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Palermo: Le suore e le leggende

Quando un viaggiatore arrivando a Palermo guardasse fuori dall’oblò di un aereo, vedrebbe l’immagine di una città adagiata placidamente, come in un giorno di primavera, sulle sponde di un mare dal colore degradante dal verde cristallino al blu intenso, un’elegante, aristocratica signora. Palermo è una città bellissima e complessa; piena di storia, di cultura, di arte che qui trovano una loro propria e unica espressione. Come la lingua dialettale palermitana, ogni aspetto di questa città è fatto di aperture e di chiusure; di chiaro e di scuro. È mondo e isola allo stesso tempo. Una città dalla grande tradizione oratoria la cui storia documentaria viene impreziosita da elementi, da segreti e misteri che si animano di dettagli mentre vengono sussurrati di bocca in bocca nei vicoli che si sviluppano e avviluppano intorno alle sue meravigliose piazze. Non c’è luogo, opera d’arte, palazzo o monumento di Palermo che non sia interessato anche dalla più piccola leggenda antica o recente che sia. Come quella sulla suora del Teatro Massimo. 

La suora del teatro Massimo

Per realizzare questa magnifica opera architettonica ed ingegneristica, il più grande teatro lirico d’Italia e il terzo in Europa per grandezza architettonica, fu necessario abbattere ben quattro chiese, due monasteri e una delle porte di accesso alla città. Durante i lavori di realizzazione, pare che sia stata profanata la tomba di una suora: si pensa la prima Madre Superiora del convento detta la monachella. L’ira di questa si racconta si scagliò, allora, sul teatro i cui lavori durarono ben 23 anni con non poche difficoltà. Sembrerebbe che l’iscrizione frontale del teatro:” Vano delle scene è il delitto”, sia stata realizzata proprio per placare l’ira della monachella. Si racconta anche che chi si mostrasse scettico verso questa storia, inciampi su un particolare gradino detto appunto “il gradino della suora”. Alcuni affermano di aver addirittura visto l’ombra della suora aggirarsi inquieto all’interno del teatro. Se anche fosse vero, come biasimare la monachella? Spente le luci, acquietato il brusio degli spettatori, fermata la musica potrebbe godere della magnificenza dell’intero apparato architettonico realizzato da Giovan Battista Filippo Basile e completato alla sua morte dal figlio Ernesto Basile; del soffitto mobile composto da pannelli lignei affrescati, chiamati petali, che consentono l’aereazione dell’ambiente interno; oppure per le raffinate decorazioni dei palchi e degli arredi ad opera di Ducrot; e ancora la leggera asimmetria della rotonda del mezzogiorno, la sala originariamente riservata ai soli uomini, voluta appositamente dall’architetto per ottenere una particolarissima risonanza acustica per cui dall’esterno è impossibile comprendere ciò che viene detto dall’interno.

Una suora, ancora, è la protagonista della leggenda che interessa il quartiere alle spalle del Teatro Massimo, il Capo. Un quartiere antico, colorato e vivo. Animato durante il giorno da un assai frequentato mercato, quello del Capo per l’appunto, dove i profumi dei prodotti esposti sui banchi si mescolano alle urla dei venditori che richiamano in questo modo i passanti. Dove tradizione popolare e storia si mescolano. Passato e presente convivono. Un quartiere antichissimo profondamente trasformato nel 1600 dall’espansione urbana e divenendo così, all’epoca, uno dei quattro mandamenti, quartieri, della città. Un quartiere cruciale nel corso di alcuni momenti storici di Palermo. Dal campanile di una delle molte chiese presenti in questa zona, la Chiesa della Mercede, si racconta che si affacci ogni notte una suora. La leggenda narra la triste storia di una giovane che a seguito di una violenza partorì una bambina che le venne strappata prima di obbligarla a chiudersi in convento. Venuta a sapere che la figlia era stata messa a servizio presso Palazzo Serenario, collocato di fronte alla Chiesa della Mercede, ogni notte la suora saliva sul campanile per guardarla. C’è chi afferma che in alcune notti è possibile vederla ancora.

Un’altra storia, non meno ricca di avvincente mistero coinvolge il Capo: è quella dei Beati Paoli. Quando già nel 1600 il quartiere del Capo fu urbanisticamente ripensato, venne abitato dalla piccola e media borghesia le cui case furono costruite a ridosso delle tante chiese e delle case di confraternite. I Beati Paoli erano una confraternita attiva intorno al 1180 circa di cui si pensa che i suoi componenti fossero cittadini che appartenevano ai ceti più bassi della società il cui desiderio era quello di vendicarsi di nobili e proprietari feudali. La leggenda narra che di notte questi si aggirassero per le strade con il capo coperto da un cappuccio nero ed individuata la vittima la conducessero nel loro tribunale segreto collocato sotto il mercato del capo per processarla e ucciderla. In effetti, un ampio spazio sotterraneo, oggi visibile dal vicolo degli Orfani, esiste. Alle spalle della Chiesa di Santa Maruzza, si trova una vasta cavità che si presenta come una caverna coi sedili scavati lungo le pareti, come una camera dello scirocco. Probabilmente i proprietari di Palazzo Baldi collocati proprio al di sopra di essa, la usavano come tale.

Questi sono solo una piccolissima parte delle storie e delle leggende che appartengono a Palermo. Se poi dopo aver attraversato i vicoli del Capo e aver goduto della magnificenza del Teatro Massimo, si desiderasse mangiare una Frutta Martorana, ebbene, si deve sapere che anch’essa non è scevra di leggenda e mistero.

Nemmeno le famosissime “Teste di Moro”, che si possono ammirare dalle finestre dei maestri ceramisti che si incontrano per le strade di Palermo, e non sono uguali… ma è un mistero.                                                                                                                                     

 

                                                                                      

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