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Beatrice Cenci: La tragedia di una giovane nobile

di Andira Vitale

“In questo volto di Cenci c’è più di quanto abbia mai visto in qualsiasi altro volto umano.” J.W. Goethe

“Il viso è liscio e bello, lo sguardo incredibilmente dolce e gli occhi grandissimi: hanno l’aria sconvolta di una persona colta di sorpresa nel momento in cui versa calde lacrime.”  Stendhal

11 settembre 1599. Piazza di Ponte Sant’Angelo, nella Roma buia e cupa di Caravaggio. In una mattinata calda e umida è in corso l’esecuzione di Beatrice Cenci, del fratello Giacomo e della matrigna Lucrezia.  La testa di Giacomo fu fracassata con un maglio prima che il suo cadavere fosse squartato. Successivamente furono Lucrezia e Beatrice, entrambe decapitate con una piccola ascia. Finisce così uno dei delitti più famosi della storia medievale. Una storia da raccontare nei secoli, trasformando la giovane Beatrice in un’eroina degna di autori e artisti come Shelley, Stendhal, Dumas, Caravaggio, Guido Reni e Moravia, solo per citarne alcuni.

La storia inquietante di Beatrice Cenci (1577-1599), la giovane nobildonna romana che uccise il padre violento prima di essere decapitata su un ponte a Roma, affascina ancora oggi.

Il 9 settembre 1598 si udirono delle urla provenire da un castello nel villaggio di La Petrella, vicino Roma. Quello che la gente chiama castello era la residenza del conte Francesco Cenci fuori dal paese, chiamata “Rocca Cenci”, di cui oggi restano poche mura. Plautilla Calvetti, governante del castello dei Cenci e moglie del custode, era scesa in paese quando sentì un forte trambusto. Quando corse fuori per vedere cosa stava succedendo, un’amica la chiamò: “Plautilla, Plautilla, gridano nel castello”. Cominciò a correre lungo la ripida strada sterrata verso la fortezza; mentre proseguiva lungo la strada, incontrò alcuni uomini che scendevano di corsa; “Il signor Francesco è morto”, le dissero: il conte Francesco era morto. Quando raggiunse il castello, chiamò ma non ricevette risposta. Plautilla le chiese: “Che cosa è successo, signora?”  La ragazza guardava altrove, completamente silenziosa. Mentre Beatrice continuava a fissare in lontananza, si poteva sentire sua madre, Lucrezia, urlare all’interno del castello.

Il corpo senza vita del conte era sotto il balcone di legno. Sopra il piano più alto della fortezza, un balcone di legno aveva ceduto; il Conte era caduto per più di quaranta piedi ed era morto. Sembrava un incidente. Dopo una veloce cerimonia in chiesa, Francesco viene sepolto insieme al suo passato travagliato. Il caso è stato chiuso e archiviato come incidente. Poco dopo, le voci secondo cui l’uomo era stato assassinato hanno indotto le autorità a riaprire le indagini per “fama”, cioè.

Evidenziano le superfici delle lenzuola e del materasso del letto di Francesco che erano abbondantemente inzuppate di sangue; fanno in modo che la dimensione del foro del balcone sia talmente piccola che a malapena sarebbe passato il voluminoso corpo di un uomo, anche se lo fosse stato, la piccola dimensione del passaggio avrebbe facilmente permesso al malcapitato di aggrapparsi alla ringhiera di ferro che però era piegato verso l’interno e non verso l’esterno.

Marzio Floriani, detto il catalano, viene arrestato per primo, spogliato e portato nella sala delle torture dagli inquisitori dello Stato Pontificio secondo la procedura detta “territio”, che mira a terrorizzare l’imputato con la minaccia di esecuzione. Basta la vista degli strumenti di tortura pronti per essere utilizzati per convincere il poveretto a raccontare tutto parola per parola, di come le due donne vivevano in uno stato di ingiusta prigionia, delle angherie subite dal tirannico Francesco, delle violenze subite, suggerendo che anche il padre di Beatrice avesse abusato sessualmente di lei. Gli inquisitori ora hanno una confessione, la prova migliore. Le due donne e gli altri complici vengono imprigionati a Castel Sant’Angelo.

Mentre le indagini continuavano, si scoprì che tre membri della famiglia avevano commesso l’omicidio. Si scoprì che a pianificarlo furono la moglie Lucrezia, la figlia Beatrice e il figlio Giacomo. Tutti gli occhi erano puntati sulla famiglia durante il processo, in particolare sulla bella e innocente Beatrice. Da quel momento in poi la storia di Cenci cominciò a diffondersi in tutto il mondo. Il poeta britannico Shelley scrisse un’opera teatrale intitolata The Cenci, e il romanziere francese Stendhal scrisse un’opera teatrale intitolata Les Cenci. Chi era questa Beatrice Cenci?

Beatrice, nobile figlia di Roma

Beatrice nacque il 6 febbraio 1577 a Roma nel Palazzo di fronte all’Hotel Monte Cenci. La sua famiglia era una delle famiglie romane più ricche del periodo. Beatrice è una nobildonna romana, è la terza dei dodici figli di Francesco Cenci e di Ersilia Santacroce. La madre muore quando la giovane ha appena sette anni. La ragazza venne affidata alle cure delle monache francescane del monastero di Santa Croce a Monterotondo. La giovane torna in famiglia all’età di 15 anni, nel frattempo suo padre si era risposato con una vedova romana, Lucrezia Pietroni, un matrimonio che farà ben presto pentire la donna di quella sua scelta infelice. Man mano che Beatrice cresceva, la sua bellezza, grazia ed eleganza contrastavano con il carattere rude della sua vita familiare.

Il Conte crudele

La vittima dell’omicidio, il conte Cenci, era una figura ben nota ai romani. Stendhal lo descrisse come un malvagio Don Giovanni nel suo racconto Les Cenci. Ma Don Juon era una persona che ingannava le donne parlando ad alta voce. Tuttavia, i documenti papali descrivono Francesco Cenci come selvaggio, aggressivo e assetato di denaro. Suo padre, Cristiforo, aveva accumulato una grande fortuna gestendo il tesoro papale. Francesco nacque come figlio illegittimo e, sposando la madre mentre il padre era malato, poté lasciargli le sue ricchezze e il suo titolo.

Francesco vagava per Roma come un erede viziato e maleducato, prendendo in giro i suoi servi, picchiando chiunque incontrasse per strada e aggredendo i suoi inquilini. È stato spesso imprigionato e rilasciato di nuovo con multe. È stato condannato per aver molestato un bambino, ma è sfuggito a questa punizione donando un terzo della sua ricchezza.

Il conte Cenci era un individuo violento e depravato che abusò più volte della sua prima moglie e dei suoi figli. Nel suo primo matrimonio, a quattordici anni, ebbe dodici figli, di cui solo sette raggiunsero l’età adulta. Dopo la morte della prima moglie, Ersilia Santacroce, si risposò con Lucrezia Petroni, ricca vedova e madre di tre figli.   

Poiché era un padre che maltrattava i suoi figli, il Papa ha emesso un ordine per proteggere i suoi figli. Uno dei suoi figli, Rocco, è morto in una rissa di strada. Cristoforo è stato ucciso perché coinvolto in un triangolo amoroso. Non aveva pagato la dote della figlia Antonina

Il conte fu incarcerato e spesso multato per crimini sessuali commessi contro altri, ma a causa del suo status nobiliare fu liberato presto. Più volte fu accusato di abusi e sodomia, anche nei confronti dei suoi servi, ma queste accuse, una dopo l’altra, erano state messe a tacere per l’inesistenza di prove.

Il suo patrimonio, era stato duramente intaccato dal pagamento delle numerose condanne, al punto che iniziò ad avere problemi con il fisco pontificio. Trovò conveniente lasciare Roma, stabilendosi in un castello fatiscente nella piccola cittadina di campagna di Petrella Salto, sulle montagne abruzzesi a est della città. L’edificio faceva parte del regno di Napoli, e quindi era fuori dalla giurisdizione del Vaticano, un ottimo luogo dove potersi rifugiare in caso di pericolo. All’interno del castello, recluse sua figlia Beatrice e sua moglie Lucrezia, mentre l’altra figlia Antonina era riuscita a scappare da quel padre violento, grazie all’intercessione del papa. La giovane infatti, aveva inviato missive al pontefice in cui supplicava di trovarle un’adeguata sistemazione, o in convento o con il matrimonio. Il pontefice a seguito, combinerà il matrimonio tra la giovane e un giovane nobile, ordinando a Francesco Cenci di prepararle una cospicua dote. Il matrimonio di Antonina, darà un duro colpo alle finanze del conte, ormai rimasto con l’acqua alla gola, e un ipotetico secondo matrimonio, quello della giovane Beatrice, anch’ella in età da marito, avrebbe dato al Cenci il colpo di grazia. Rinchiuderla nel castello, insieme alla matrigna Lucrezia, lontane da tutto e da tutti, è così la soluzione ideale.

Quella prigionia forzata accrebbe il risentimento della giovane Beatrice e della matrigna Lucrezia vittima anch’ella del Cenci. La giovane Beatrice prova quindi più volte ad inviare richieste di aiuto ai familiari e ai fratelli maggiori. Ma una delle lettere viene intercettata dal conte che a quel punto picchierà selvaggiamente Beatrice per aver osato sfidarlo.

Nel 1597 Francesco malato di rogna e di gotta si ritira a Petrella, portando con sé i figli minori Bernardo e Paolo. La vita di Beatrice divenne un incubo. Ella veniva puntualmente picchiata e abusata sessualmente dal padre. Stessa sorte subiva Lucrezia. Le due donne, oramai stanche, iniziarono a pensare all’eliminazione di Francesco.

Durante il processo vennero svelati tutti i segreti della famiglia. Prospero Farinaccio, avvocato degli imputati, portò in tribunale numerose testimonianze, dimostrando che Palazzo Cenci e Rocca Cenci erano un inferno per la famiglia.

L’avvocato lasciava intendere che il Conte avesse violentato sua figlia Beatrice. Secondo la cameriera di nome Calidonia, un giorno Beatrice scappò dalla stanza di suo padre piangendo e dicendo: “Non voglio essere bruciata”. Beatrice però si rifiutò di parlare anche sotto tortura e si limitò a dire che la sua matrigna, Lucrezia, l’aveva avvertita dicendo: “Vedrai, disonorerà anche te”.

Le crudeltà che il Conte Cenci inflisse alla sua famiglia furono diverse. Ad esempio, c’era anche una specie di malattia della scabbia. Solo Beatrice lo graffiava con un panno umido perché le altre donne lo detestavano. Il conte girava sempre per casa in camicia, frustava costantemente con la frusta in mano, umiliava e picchiava moglie e figli. Furono sottoposti ad ogni tipo di tortura psicologica e fisiologica nel castello dove il conte li imprigionò…

                                 Beatrice Cenci in prigione. Quadro di Achille Leonardi.

Beatrice e Lucrezia hanno ordito un complotto per uccidere il conte Cenci, avvalendosi dell’aiuto del fratello maggiore di Beatrice, Giacomo, Bernardo, figlio del conte dal suo secondo matrimonio, e di due servi, uno dei quali è stato segretamente sedotto da Beatrice. Nacque l’idea di stordire con vino drogato, finirlo con una mazza e scartare il corpo sottostante per simulare un incidente.

Mentre il conte Cenci era sotto l’effetto di un sonnifero preparato dalla sua seconda moglie, Lucrezia, due uomini entrarono nella sua stanza.  Ma niente andò per il verso giusto: l’oppio non bastò a far addormentare Francesco, e l’omicidio durò parecchio tempo; non solo è stato bastonato a morte, ma gli hanno piantato un chiodo in un occhio per finirlo. Mentre uno degli uomini lo tratteneva, l’altro lo colpì alla testa con un martello dotato di ferro appuntito. Poi vestirono il corpo, lo gettarono dal balcone e fuggirono dal castello, lasciando dietro di sé le lenzuola insanguinate. Uno era Olimpio Calvetti, il maggiordomo del castello La Rocca, e l’altro era l’assassino maestro di chitarra Marzio Catalano.

Giacomo Cenci, fratello di Beatrice, fu sottoposto a prolungate torture della corda. Confessa, però, attribuendo tutta la colpa al defunto Olimpio. Pochi giorni dopo, il fratello minore Bernardo confessa. Lucrezia attribuì la colpa a Beatrice e Olimpio.

Uno dei sicari, Olimpio, è stato ucciso da un cacciatore di taglie in montagna. L’altro, Marzio Catalano, è morto durante le torture in cella. Ma questi due erano solo dei sicari. E nessuno ha prestato loro attenzione durante il processo.

Il complotto fu scoperto e i quattro membri della famiglia Cenci furono arrestati, giudicati colpevoli e condannati a morte. Conoscendo le ragioni dell’omicidio, i romani protestarono contro la decisione del tribunale. Tuttavia, papa Clemente VIII non mostrò pietà e ordinò che le esecuzioni pubbliche continuassero; nell’agosto del 1599, dopo mesi di indagini e di prigionia, autorizzò il tribunale a ritenerli colpevoli.

Il dodicenne Bernardo fu risparmiato ma fu costretto ad assistere all’esecuzione dei suoi parenti prima di tornare in prigione e essere condannato a una vita da galeotto. I beni dei Cenci furono confiscati e finirono nelle mani della stessa famiglia del papa.

Beatrice, fanciulla romana di nobili natali di appena vent’anni, le violenze, sofferenze anche sessuali, e le controversie legali; col passare del tempo, divenne un simbolo della ribellione giovanile contro i metodi oppressivi dei suoi genitori, un simbolo di incantevole bellezza, di innocenza punita e della donna oppressa che cercava a tutti i costi di conquistare la propria indipendenza.

        Beatrice Cenci. Scultura di marmo di Harriet G. Hosmer. 1857                  

Le cronache raccontano poi che tra la folla che aveva assistito all’esecuzione ci fosse anche un giovane pittore lombardo, arrivato in città da pochi anni. Il suo nome era Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.

Che la presenza dell’artista sia o non sia un aneddoto, quell’esecuzione doveva lasciare comunque un’impressione profonda nel Caravaggio, un’impressione riversata poi su una straordinaria tela dipinta in quel periodo, Giuditta che decapita Oloferne, di violento e drammatico realismo.

Anche se sembra impossibile che Guido Reni abbia potuto assistere alla sua esecuzione, è quasi certo che fosse presente anche un altro artista, il grande pittore barocco Caravaggio. Si sosteneva che avesse avuto un’ottima visione della decapitazione nel fiume Tevere e fosse stato testimone sia della sua dignità di fronte alla morte che dell’atrocità dell’atto. 

Gli studiosi hanno individuato entrambe queste qualità in un dipinto che Caravaggio completò solo pochi anni dopo la morte di Beatrice: Giuditta e Oloferne. Qui l’eroina biblica è bella ma non del tutto innocente; Come eco (o prefigurazione) della rapida morte di Francesco Cenci, questi uccide nel sonno il malvagio Oloferne. I dettagli anatomici e il sangue schizzato sulla tela di Caravaggio sembrano tratti dall’osservazione diretta. La femme fatale di Caravaggio ha una forza e una consapevolezza che mancano al ritratto di “Reni”. Forse vediamo codificata qui un’altra impressione cinquecentesca di Beatrice non irreprensibile ma vendicata, non una vittima impotente ma un’eroina determinata.

                                                 Caravaggio, Giuditta e Oloferne, 1599

                                                Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma

 

La targa in questione si trova in Via Monserrato, nel Rione Regola, e ricorda Beatrice Cenci, la giovane nobildonna Romana

La targa è posta dove un tempo sorgeva il carcere di Corte Savella, nel quale Beatrice fu rinchiusa, ed è stata collocata dal Comune di Roma nel 1999.

 

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