Luci della città: Massimo Troisi
di Andira Vitale
Nel film “Il Postino”, un giovane diventa il postino di Pablo Neruda. Così, entra nel mondo delle parole, che attiva sia il suo desiderio di diventare un poeta sia il suo desiderio di conquistare il cuore della donna dei suoi sogni. Il Postino, scritto dallo scrittore cileno Antonio Skármeta, prima per la radio, poi per spettacoli teatrali, romanzi e poi per film indimenticabili, Philippe Noiret interpreta Neruda e Massimo Troisi interpreta il postino Mario.
Il Postino è uno dei tre film adattati dal romanzo teatrale di Antonio Skármeta dedicato a Neruda. La storia di Antonio Skármeta “Ardiente Paciencia”, ambientata in un piccolo villaggio di pescatori chiamato Isla Negra in Cile negli anni ’70, è stata spostata negli anni ‘50 e in Italia. C’è una fase nella realtà di Neruda in cui era ospite obbligato a casa dello storico Edwin Cerio sull’isola italiana di Capri (1952). Il luogo delle riprese de Il Postino era nell’italia.
Troisi aveva amato il libro moltissimo, Il postino di Neruda dello scrittore cileno Antonio Skármeta. Un paio d’anni prima ne aveva ricevuto in regalo una copia da Nathalie Caldonazzo, la sua compagna del tempo: dopo averlo letto ne era rimasto così entusiasta da acquistarne i diritti per un futuro adattamento cinematografico. Il libro di Skármeta racconta la storia di Mario Jiménez, un pescatore che viene nominato postino dello sperduto villaggio di Isla Negra, in Cile, con l’incarico di recapitare la posta all’unica persona che riceve corrispondenza in quel luogo: il poeta Pablo Neruda, con cui stringe un profondo legame di amicizia.
Prima di tutto decise di affidarne la regia al regista britannico Michael Radford. Per ambientare il film in Italia, Troisi decise di apportare alcune modifiche: Isla Negra venne sostituita da un’isola del Sud Italia in cui Neruda (Philippe Noiret) aveva ricevuto asilo politico dopo essere stato costretto a lasciare il Cile a causa delle sue idee comuniste, mentre Jiménez fu sostituito da Mario Ruoppolo (Troisi).
Per ultimare la sceneggiatura, nell’estate del 1993 Radford, Troisi e Scarpelli (Furio) si trasferirono per un periodo negli Stati Uniti, a Los Angeles. Troisi ne approfittò per andare a Houston, in Texas, e farsi visitare nello stesso ospedale in cui 18 anni prima aveva subito un’operazione alla valvola mitrale, quella che mette in comunicazione atrio e ventricolo sinistri del cuore. Gli esami evidenziarono un deterioramento delle valvole in titanio che gli erano state impiantate nel 1976, e Troisi fu sottoposto a un intervento cardiochirurgico d’urgenza: in sala operatoria ebbe un infarto, e fu costretto a rimanere in ospedale per quasi due mesi.I medici gli consigliarono di ricorrere a un trapianto di cuore, ma Troisi decise di posticipare l’intervento per concludere Il postino, la cui produzione era ormai in fase avanzata.
Le riprese iniziarono il 14 marzo del 1994, e durarono 12 settimane. Si svolsero in tre luoghi diversi: gli studi di Cinecittà a Roma, Salina (l’isola in cui si trova la casa in cui Neruda abita nel film) e Procida. Il periodo delle riprese fu molto faticoso per Troisi, che a causa della stanchezza e dei continui problemi cardiaci riusciva a rimanere sul set soltanto pochi minuti alla volta. «Era molto malato, aveva la condizione fisica di una persona di 83 anni: poteva girare al massimo un’ora al giorno, rimanendo seduto per tutto il tempo”, ha raccontato Radford parlando di tutte le difficoltà che incontrò in quelle 12 settimane.
Per girare le scene più faticose, quelle in bici, fu assunta una controfigura: Gerardo Ferrara, un professore di educazione fisica di Sapri, in provincia di Salerno, che fu scelto per via della sua straordinaria somiglianza con Troisi. Fu reclutato velocemente, dopo essere stato contattato dalla compagna di uno degli operatori di regia. In un’intervista data al Corriere della Sera, Ferrara ha raccontato che negli ultimi giorni delle riprese Troisi «era molto affaticato: un pomeriggio chiese di fermarsi perché non ce la faceva ad andare avanti. E ci fermammo tutti, per rispetto nei suoi confronti».
Il 3 giugno, nella notte tra venerdi 3 e sabato 4 giugno 1994 subito dopo la fine delle riprese, Troisi andò a riposare a casa di sua sorella, nella frazione romana dell’Infernetto. Morì durante il sonno per una crisi cardiaca: aveva 41 anni, e da almeno una decina era considerato uno dei migliori attori italiani in circolazione, apprezzato per il suo umorismo surreale, a cavallo tra l’autocommiserazione e la grande lucidità, e per la sua capacità di presiedere tutti i processi alla base della realizzazione di un film, dalla regia alla sceneggiatura.
Troisi era una miscela perfetta di ironia e malinconia, era un attore capace di scherzare sui difetti universali con estrema irriverenza, ma era capace anche di trasformarsi in uomini sensibili e indifesi di fronte alle situazioni quotidiane. Purtroppo, però, a questo “Pulcinella senza maschera” il destino ha negato un’esistenza giusta, negando anche al pubblico di poter godere di un talento così spiccato e di una presenza così piacevole e bella.
Nato il 19 febbraio del 1953 a San Giorgio a Cremano (alle porte di Napoli ma nel cuore di una periferia disastrata, ancora campagna, non ancora città) e cresciuto in una casa piccola e sovraffollata (cinque fratelli, due genitori, due nonni e cinque nipoti), Troisi da sempre combatteva contro un destino difficile, acuito fin dalla giovinezza da dolorose febbre reumatiche che produssero lo scompenso cardiaco alla valvola mitralica che gli sarebbe stato fatale ad appena 41 anni.
Padre macchinista ferroviere e mamma casalinga, il “Pulcinella senza maschera” che il pubblico avrebbe amato fin dall’esordio con “Ricomincio da tre” (1981) si era formato sulle tavole del palcoscenico, istintivo erede di Eduardo e di una napoletanità irridente e dolente che avrebbe traghettato in un diverso sentire, quella della “nuova Napoli” di Pino Daniele e di Roberto De Simone. Col gruppo “I Saraceni” e poi con gli inossidabili amici de “La Smorfia” (Lello Arena ed Enzo Decaro) uscì presto dai confini vernacolari del successo paesano per portare il suo napoletano vivacissimo e torrenziale sulle reti televisive nazionali e poi al cinema. Com’era accaduto a Eduardo e a Totò, quella parlata divenne comprensibile a tutti oltre le parole, sinonimo di un sentire universale in cui la maschera diventava volto e il personaggio un paradigma universale. Anche se la sua comicità era molto legata alle sue origini, Troisi era napoletano anche in un modo personale e opposto ai cliché della napoletanità, che cercava spesso di prendere in giro e criticare con personaggi timidi, impacciati, sensibili. Questa tendenza divenne ancora più manifesta a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, quando i personaggi di Troisi divennero sempre più articolati e indipendenti dal lato comico, con caratterizzazioni più serie e malinconiche. Il postino è considerato il film più rappresentativo di questa seconda fase della sua carriera, e viene spesso paragonato a una specie di testamento artistico di Troisi, che pur di completarlo decise di posticipare un’operazione di trapianto al cuore.
ll Postino ha lasciato un segno nella storia per Neruda, uno dei nomi e politici più importanti della poesia del XX secolo e vincitore del Premio Mondiale per la Pace e del Premio Nobel per la Letteratura, che conobbe il dolore della vita in esilio. L’attore, uno degli sceneggiatori del film, ha avvicinato insolitamente il pubblico alla poesia anche con l’aiuto di Massimo Troisi, alias Mario postino, che ha rinviato il suo fatale intervento al cuore per completare il film. Massimo Troisi aveva 41 anni quando morì e a lui fu dedicato il film, di cui non poté assistere al successo.
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