Immortal temple of music: Teatro alla scala
Luci della citta – Ramona Andrei
Nacque dalle ceneri del Teatro Regio di Villa Reale, distrutto da un incendio il 23 febbraio del 1776. Il 3 agosto 1778 viene inaugurato a Milano il Teatro alla Scala. E ancora oggi, dopo ben 246 anni, tutto il mondo ce lo invidia.
Come era nato il tempio in cui stelle come Gioachino Rossini, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini e Arturo Toscanini, Maria Callas ed Herbert von Karajan e più avanti Claudio Abbado hanno celebrato il rito della musica? Ecco la storia di un tempio della lirica che tutto il mondo ci invidia.
Il Teatro alla Scala (per tutti semplicemente La Scala) è nato purtroppo o per fortuna da un incendio. Fino al 26 febbraio del 1776, era il Regio Ducale ad insignirsi del titolo di “teatro dei milanesi”. Teatro dei Milanesi era il Regio Ducale, che si trovava più o meno dove oggi è Palazzo Reale. Quando fu distrutto, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria decise di farne edificare uno nuovo sull’area della chiesa trecentesca di Santa Maria della Scala (così chiamata in onore di Regina della Scala, moglie di Bernabò Visconti).
Come detto, il Teatro alla Scala venne realizzato per decreto di Maria Teresa d’Austria. Doveva essere il più grande e la stessa Opera di Vienna venne poi costruita sul suo esempio. Nacque dalle ceneri del Teatro Regio di Villa Reale, distrutto da un incendio il 23 febbraio del 1776. E dalle macerie della chiesa pericolante di Santa Maria della Scala, demolita per fargli posto, da cui prese il nome.
Il progetto dell’architetto Giuseppe Piermarini fu realizzato con il contributo dei 90 proprietari di palchi del Regio andato in fumo. All’epoca non esisteva la piazza davanti alla facciata (oggi Piazza della Scala) e dato che l’area era angusta per la presenza di vecchi palazzi, Piermarini studiò il porticato ad archi per dividere il passaggio delle carrozze da quello dei pedoni. Nel 1778 l’architetto Giuseppe Piermarini portò a termine il teatro, che fu inaugurato il 3 agosto con un’opera di Antonio Salieri, L’Europa riconosciuta. La struttura palcata a ferro di cavallo della Scala ha ispirato molti teatri d’opera nel mondo.
Marie-Henri Beyle Stendhal rimase a bocca aperta per essersi trovato di fronte, scrisse, “al più bel teatro del mondo, quello che dà il massimo godimento musicale. È impossibile immaginare nulla di più grande, più solenne e nuovo”.
Ma il teatro di Milano ha cambiato varie volte pelle, come un gigante della cultura che si è adattato alle epoche.
Se vi fossimo entrati tra il 1778 e il 1786, avremmo visto ospiti alle prese con il gioco d’azzardo Ogni palco aveva un proprietario e un affittuario che poteva sceglierne gli arredi, gli ornamenti, e avrebbe dovuto provvedere in proprio al riscaldamento e all’illuminazione ad olio. C’erano anche botteghe e un affollato ristorante. Sul palco e in platea si svolgevano riunioni mondane, danze e spettacoli leggeri. Si potevano tenere anche chiassose feste. Sul palco, come in platea, si assisteva a riunioni mondane, danze e spettacoli; anche a delle feste molto chiassose. Era, insomma, una sorta di club esclusivo, principalmente destinato ai nobili e alla borghesia.
Ma i cambiamenti presto arrivarono. Appena un anno dopo, la costituzione della Repubblica Cisalpina vengono tolti tutti gli stemmi nobiliari dai palchi. Con Napoleone il palco reale venne abolito e, nel 1807, La Scala fu decorata con medaglioni, leoni alati e suonatori di flauto, affacciati sui saloni ancora oggi. Nel 1858, poi, vengono demolite tutte le costruzioni tra la facciata e Palazzo Marino, luogo in cui ora risiede il consiglio del Comune di Milano; la ditta “Ricordi” apre i suoi uffici a sud del teatro e questo non è un caso: se oggi la Ricordi è una nota casa discografica, in quegli anni era leader nel settore degli spartiti musicali, e non vi era corda che suonasse alla Scala se questa non voleva. Nel 1860 arriva nel teatro l’illuminazione a gas, mentre l’energia elettrica fece il suo ingresso nel 1883.
Il 9 agosto del 1859, davanti al re Vittorio Emanuele II, va in scena Lucia di Lammermoor di Donizetti. Anche Verdi ritornò alla Scala e vi presentò ad esempio la prima europea de l’Aida. Poi tempi duri, di crisi: la pressione dei socialisti, a causa di una forte crisi sociale, spinse il Comune di Milano a chiudere La Scala, riaperta poi l’anno seguente. Nel 1891 si ricavò il Loggione dai palchi più alti, la zona “popolare” da cui oggi si decretano i successi o gli insuccessi dei debuttanti e delle prime.
Il fascismo regala alla Scala il primo palco a ponte mobile, ma la guerra la ferisce duramente. Il 16 agosto del 1943 un bombardamento colpisce Milano. Della Scala rimangono distrutti il tetto, la volta e lunghi tratti dei quattro ordini dei palchi, i magazzini dei costumi, i camerini, le sale di studio del coro e di ballo e i laboratori scenici. Dal ‘45 al ‘46 la ricostruzione. E il ritorno a grande richiesta di Toscanini, con un’opera inaugurale, La gazza ladra, l’11 maggio del 1946. Fu lo spettacolo simbolo della rinascita. Erano presenti 5 mila persone all’interno del teatro e diverse migliaia in Piazza della Scala e nelle vie adiacenti, attrezzate con altoparlanti. Erano ancora i tempi in cui la gente comune canticchiava i motivi dell’opera, conosceva bene i suoi protagonisti, come oggi conosce i cantanti di musica leggera e gli attori.
Seguì il boom economico degli anni ‘50-‘60. Ma la Scala fu testimone soprattutto delle contestazioni del decennio seguente.
Una fra tutte nel ‘68, in piena era della rivoluzione giovanile. Armati di uova marce e vernice, i giovani attaccarono signori in smoking e signore in pelliccia sopraggiunti per la prima della stagione. Gli slogan li accusavano di essere “borghesi” e “sfruttatori”. E l’appuntamento con le manifestazioni di piazza si è perpetuato di anno in anno, nell’evento del 7 dicembre.
Il grande organismo musicale si è molto evoluto fra il 2002 e il 2004, con un restauro conservativo, nuovi ambienti per gli artisti e un’articolata macchina scenica. È stata rimossa la moquette rossa e sistemato un pavimento a base di legno altrettanto acustico. Sono state restaurate pitture alle pareti e intarsi dorati. Ben 3 mila metri aggiuntivi di damasco rosso hanno ravvivato il tempio della musica.
Ma ha fatto discutere il progetto dell’architetto Mario Botta che ha creato una torre scenica e una ovale, due massicci volumi che hanno in parte cambiato il volto originario dell’edificio. L’architetto l’ha spiegato così: “Oggi, rispetto ai tempi di Piermarini, c’è più profondità visiva, dovuta allo spazio ricavato per Piazza della Scala. I nuovi volumi sono arretrati rispetto alla costruzione originale, con l’intento di evidenziare le facciate storiche nel rapporto figurativo con il tessuto urbano e il linguaggio astratto delle nuove costruzioni, in modo da separare i due diversi periodi storici”.
La storia della Scala è come un “grande organismo”. Un grande organismo che è frutto della collaborazione di molti individui. Ma, mentre gli individui muoiono, La Scala continua nel tempo con la loro idea.
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